01 Jun

Finisterra

Paesaggio e insediamento

Romanzo

de Carlos de Oliveira

Tradução de Francesca Negro

 

Il giardino di famiglia (prima fase d’abbandono): informi montagne di sterpi, arbusti spettinati, ortiche, fiori selvatici.

Le palme di piccola taglia sono gonfiate tanto da far pensare a vecchi nani malati, con le loro criniere, un garbuglio di foglie, cadenti ad arco sino a terra.

Seduto in un osso di balena; per l’esattezza nella sezione mediana della spina dorsale di una balena: cinquantun centimetri di diametro per trentatre di altezza; due vertebre si aprono come le pale (ali) di un’elica; abbastanza distanti permettono ai gomiti di appoggiarvisi: mettendo il quaderno sulle ginocchia riesce a disegnare (non si attarda, la pioggia d’estate l’obbligherà a entrare in casa).

Osso di balena, tessitura di legno povero esposta all’acqua, all’erosione, senza imputridire: la  luce quando batte frontale sulle vene scure sprigiona un pulviscolo color cenere, quasi a riaccendersi. La densità calcarea decresce tanto entrambi possono fluttuare (il bambino e l’osso di balena) su murghi1 biliosi, fusti di gisandra, licheni, lente malattie. 

Il riverbero tra le nubi lo coglie di sorpresa e si estingue, ma è sufficiente ad aprire una faglia (irreparabile) nella memoria. E dunque riproduce e a memoria il paesaggio visto dalla finestra, crea gli esseri primordiali, mescola estate e inverno, attenua la cecità (l’eccesso) del sole a incidere il silicio, mollica sbriciolata, vetro triturato in un mortaio (chi lo sà), aumenta i granelli di sabbia sino alla dimensione che paiono assumere di notte quando il vento scaglia contro le vetrate le sue enormi pietrate. 

In tutto questo la pioggia lo scaccia dal giardino. Per poco fluttua.

All’esterno a partire dai muri si trovano due palmi di atmosfera lucida, quasi luminosa (si intensifica poco a poco) un alone a rivestir la casa, a proteggerla misteriosamente. Al di là dell’alone l’aria è scura, peso che si muove e ripiega con lentezza. La minaccia che si avvicina.

Nella sala l’uomo seduto al tavolo di vinhatico si alza e controlla la finestra: trucioli di castagno, scarti di ferro antico, sostengono le vetrate piene di imperfezioni (nodi e bolle distorcono la visione) ma di uno spessore solido, in grado di resistere.

Ho bisogno di misurare la casa. Le stanze, una ad una: lunghezza, larghezza, altezza. Valutare la superficie consegnata alla nebbia e i suoi punti fragili (finestre porte e spioncini).

Conoscere meglio il brillare della cera disciolta o l’ombra che si nasconde nelle gallerie del tarlo; e la polvere, le macchie di umidità sul soffitto, il pulviscolo interiore del legno. In un pomeriggio come questo, così pieno d’acqua, registrare persino l’acuto diapason sottile delle grondaie, la poca trasparenza là fuori ad ogni momento più torva: com’è che assorbe il mormorio dei mobili?

            Il metro deve stare nel cassetto superiore destro del comò olandese, dov’è sempre stato; la chiave la vedo da qui: fiamma di nichel che vacilla nella serratura dell’ultimo cassettone.

Calcolare con rigore lo spazio in cui posso muovermi, la distanza tra le cose, il posto preciso delle sedie.

Percorrere la casa in piena notte: allo scuro e senza inciampare.

.....


 


   



[1] Murgos, nell’originale, è un termine inventato dall’autore al pari del seguente Gisandra, per entrambi si è pensato di mantenere l’originale senza cercare un’ulteriore modifica, ciò è avvallato dall’esistenza di parole di radice simile, in alcune varianti dialettali dell’italiano per esempio, in cui espressioni simili sono  dotate di significati assolutamente plausibili per il contesto considerato.

   

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